Lo stop alla riforma della legittima difesa è stato un bluff, come era prevedibile. La prossima settimana, infatti, sarà alla Camera, pronta per essere approvata e rimandata al Senato, per l’ultima (quasi sicuramente) lettura che significherebbe l’entrata in vigore con la pubblicazione in Gazzetta.
Insomma, chi sperava che il Movimento 5 Stelle stesse facendo sul serio per fermare la legge, ha dovuto ricredersi in pochi secondi. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha anzi mostrato una grande ansia verso il via libera al testo: «Non vedo l’ora che venga approvata, la legittima difesa è una legge in cui M5S e Lega si sono confrontati». Più che confronto sarebbe lecito parlare di cedimento su tutta la linea. E, per tranquillizzare i magistrati, il Guardasigilli ha garantito: «Non ci sarà nessun far west né nessuna situazione di omicidio dove il magistrato non aprirà il processo».
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Parole che da un lato confermano la sottovalutazione, da un punto di vista giuridico, di questa norma e dall’altro, in particolare, alimentano la preoccupazione: la stragrande maggioranza dei pentastellati finge di non capire la portata culturale di questo provvedimento; che è lo sdoganamento all’uso delle armi. L’incentivo a farsi giustizia da soli in un clima da saloon alimentato dal ministro dell’Interno Salvini che, parlando di persone uccise, ha detto: “Così il rapinatore nella prossima vita mestiere”. In realtà qualcuno nel M5S ha ammesso, in dissenso dalla linea, che la riforma è pericolosa. Perché c’è un “messaggio culturale pericoloso che il Carroccio porterà dietro questo provvedimento”, ha annotato la deputata Doriana Sarli, già in passato critica. Così come la collega Gilda Sportiello che ha annunciato di non votare il testo: “Non ha ragione di esistere, crea equivoci”.
Tuttavia, le singole prese di posizione non sono in grado di stoppare il via libera. Per riuscirci serve un ripensamento complessivo del Movimento 5 Stelle. O meglio: basterebbe tornare alle origini, quando Luigi Di Maio, da vicepresidente della Camera, criticava l’eccessiva presenza di armi in case, trovando sponda con Alessandro Di Battista.
Adesso, da numero due del governo (e verrebbe da dire anche da vice-Salvini) ha fatto passare in sordina (a settembre) un decreto che raddoppia la possibilità di avere armi in casa, ed è anche pronto per il “sì” all’incentivo all’uso delle pistole.