La coscienza è stata ripulita con lo stop alle nuove forniture di armi alla Turchia. Non ci saranno nuovi accordi. Una scelta che solo in apparenza è coraggiosa: nella migliore delle ipotesi, infatti, dispiegherà gli eventuali effetti tra molti mesi, perché nel frattempo i contratti in essere saranno rispettati. E nulla si conosce della famigerata “istruttoria” annunciata dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in merito agli armamenti italiani che stanno arrivando all’esercito di Ankara in ossequio agli affari stipulati fino al deliberato attacco turco contro i curdi nel Rojava. Un’istruttoria del genere richiederebbe un esame velocissimo e una puntuale informazione.
Mentre la Farnesina “si istruisce”, dalla Siria del Nord arrivano immagini strazianti e giungono racconti terribili. E l’Italia non può ritenere di aver fatto tutto il possibile per disarmare la mano di Recep Tayyip Erdoğan. Anzi, bisogna ammetterlo: ha fatto il minimo sindacale con un risultato sostanzialmente nullo. Peraltro ora l’attenzione mediatica, intorno all’attacco ai curdi, sta diminuendo e non si avverte più la necessità di assumere posizioni nette. Alle timidezze delle scorse settimane, segue l’afasia delle ultime ore.
Eppure oggi, 4 novembre, si celebra la festa delle forze armate in concomitanza della fine della Prima Guerra Mondiale. Per questo, ancora una volta di più, è doveroso rileggersi l’Articolo 11 della Costituzione repubblicana:
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Una guerra che invece l’Italia non sta cercando di limitare nella Siria del Nord: il governo in carica non ha messo in campo tutte le azioni per evitare sanguinosi scontri. E il corsivo di Lorenzo Cremonesi, sul Corriere della Sera, è molto esplicativo:
Sino a che punto la Nato e la comunità internazionale sono disposte a tollerare che uno Stato importante come la Turchia utilizzi individui e gruppi armati sospettati di commettere sistematicamente crimini di guerra? Guardare per credere. Sono gli stessi uomini delle milizie siriane, che dall’attacco del 9 ottobre sono utilizzate come teste di ponte dell’esercito turco contro i curdi in Siria, a diffondere via smartphone le loro efferatezze. Alcuni video riprendono il cadavere della giovane Amara Renas preso a calci. Con slogan che ricordano quelli di Isis, i jihadisti deridono il povero corpo, parlano di «puttana curda», inneggiano alla guerra santa in nome di Allah.
Ecco, a queste persone arrivano ancora oggi armi italiane. Giusto 101 anni dopo la fine della Grande Guerra.