Il governo fa l’istruttoria, Erdogan continua la guerra (con armi italiane in arrivo)

Il governo fa l’istruttoria, Erdogan continua la guerra (con armi italiane in arrivo)

Uno stop senza effetti. La decisione del governo italiano di non accettare nuove commesse per le armi dalla Turchia è poco più di una photo opportunity a favore di telecamere. La Repubblica, in alcuni articoli pubblicati oggi, racconta bene come l’embargo non sfiori minimamente la potenza militare di Erdogan, che anzi è pronto a godere dei “benefici” del cannone da 600 colpi al minuto: senza il blocco dei contratti in essere, le forniture italiane continueranno per anni. E le conseguenze di questo indulgente (verso Ankara) #BastaArmiAllaTurchia all’italiana rischiano di manifestarsi in colpevole ritardo. Lo ha chiaramente evidenziato nella dichiarazione a La Repubblica, il coordinatore della Rete Disarmo, Francesco Vignarca: “È chiaro come un embargo efficace debba comprendere anche i vecchi contratti, altrimenti le consegne potrebbero andare avanti per anni e l’annunciato decreto avrebbe solo valenza politica”.

Insomma, lo stop reale sarebbe operativo quasi a fine legislatura, quando è difficile immaginare quale possa essere la situazione nella Siria del Nord. O meglio: continuando così, è facile prevedere cosa possa succedere in un lasso di tempo molto ampio, tale da consentire al presidente turco di fare quel che vuole contro i curdi.

In realtà, riproponendo la sinfonia delle buone intenzioni sulla guerra della Turchia, l’esecutivo (con un annuncio del ministro degli Esteri Luigi Di Maio) ha annunciato una “istruttoria” sui contratti in vigore. Una strategia che, anche in questo caso, è alquanto inefficace: nel frattempo vengono acquisiti i dati, l’esercito turco può continuare ad avanzare, portando sul campo gli armamenti Made in Italy. Più che l’istruttoria è necessaria una moratoria. Per agire in questo senso, però, occorre una volontà politica tenace sul taglio all’industria bellica. E in tal senso le notizie non sono incoraggianti: La Stampa nei giorni scorsi ha anticipato il via libera del presidente del Consiglio Conte all’aumento, di circa 7 miliardi, della spesa militare chiesto dalla Nato. Non proprio il presupposto per un intervento di taglio sul comparto, insomma.

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