Nessuna difesa. Men che meno legittima. Angelo Peveri, l’imprenditore di Piacenza che sparò a Dorel Iucan dopo averlo sorpreso a rubare del gasolio nella sua azienda, ha agito con volontà di attaccare, aprendo il fuoco su un uomo disarmato e già immobilizzato. Per questo è stata confermata la condanna di 4 anni e 6 mesi. La Cassazione, nelle motivazioni della sentenza, è stata chiara. E adesso il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dovrebbe spiegare il motivo per cui è andato a difendere, con tanto di visita, una persona responsabile di “odiose modalità di azione”, come ha scritto la Corte.
Cosa ha fatto Peveri
I fatti risalgono al 5 ottobre 2011, in località Mottaziana del Comune di Borgonovo Val Tidone, in provincia di Piacenza. Quella sera si è consumata la sparatoria, da cui la vittima si è salvata ma con danni permanenti. Secondo i giudici, infatti, nell’azione di Peveri si presentano “profili di gravità oggettiva e soggettiva”, perché – tra le altre cose – si è trovato contro una persona “non armata”. Iucan, insomma, non stava minacciando l’imprenditore, nonostante stesse compiendo un furto. E di fatto era stato bloccato da un collaboratore dell’imprenditore.
Nell’operato di Peveri ci sono state “ripetute percosse inferte, anche con corpo contundente, a una vittima non armata, che invano esternava supplichevoli manifestazioni di pentimento” e poi è arrivata “l’esplosione a distanza ravvicinata di un colpo da un micidiale fucile a pompa diretto al torace della vittima”, si legge nel dispositivo. La tesi difensiva sosteneva che il colpo era partito accidentalmente. Ma i giudici hanno rilevato che “l’arma detenuta dall’imputato era stata volontariamente ricaricata almeno 3 volte”.
Di fronte a questo quadro disegnato dalla Cassazione, restano pochi dubbi. Ma una questione politica permane: un ministro ha di fatto giustificato un omicidio. Che non c’entra davvero niente con il dibattito sulla legittima difesa.