“La difesa fai-da-te è una caricatura americanista e un disastro per il cittadino”
Pietrangelo Buttafuoco

“La difesa fai-da-te è una caricatura americanista e un disastro per il cittadino”

Armatevi e morite. Il libro di Pietrangelo Buttafuoco e Carmelo Abbate (edito da Sperling & Kupfer) spiega bene sin dal titolo il suo significato: la sicurezza ‘fai-da-te’ non può essere delegata al singolo cittadino. Altrimenti è un “disastro”. E, al contrario di quanto viene propagandato, la cultura delle armi per difendersi non è nemmeno di destra. Almeno non di quella vera. Ma si tratta solo di una distorsione ‘made in Usa’, che rischia di portare l’Italia verso l’incubo ‘americano’. In questa intervista Pietrangelo Buttafuoco ci racconta le ragioni sociali e politiche dell’evoluzione, a partire dall’abbandono della cultura dell’Iliade in favore del Far west.

Il sottotitolo del libro ‘Armatevi e morite’ recita ‘la difesa fai da te non è di destra’. Allora perché la destra lascia credere che ampliando la legittima difesa aumenti la sicurezza?
Il motivo è semplice: la destra ha dismesso il proprio patrimonio di riferimento e ha adottato l’americanismo, che è soltanto una caricatura rispetto a quello che era i codici di linguaggio e di contenuti. La destra ha sempre avuto un fondamento con principi che si rifacevano alle molteplicità, alle pluralità, ai popoli, e non tendeva a uniformare quella che era la costruzione della giornata pubblica. C’era come orizzonte l’Imperium, per citare Carl Schmitt, e non il Dominium, a cui fa riferimento questa destra americanista, che riduce tutto a un unico concetto, un’unica struttura. In questo modo le diversità, le varie esperienze vengono azzerate: con l’americanismo non ci sono sfumature è tutto selvaggio, veloce, senza mediazioni. Non c’è più l’Iliade, ma il Far west: è venuto meno il codice cavalleresco, il nemico “non viene più onorato”.

Si tratta quindi di uno scivolamento culturale individualista?
La cultura di destra che si rivede nell’uomo d’arme è l’opposto di quella degli Stati Uniti d’America. Il modello iniziale è quello del Giappone, che ha una grande tradizione guerriera. Eppure oggi è il popolo più disarmato. Tanto che non è possibile avere libertà di acquisto delle armi come negli Stati Uniti. I giapponesi sono talmente consapevoli del loro essere guerrieri che si tengono ben lontani dalle armi. Il Giappone è la terra dei samurai e il samurai è molto più vicino a Toro Seduto che allo sceriffo: risponde a un codice etico ben preciso.
La copertina di ‘Armatevi e morite’ di Abbate e Buttafuoco
 
Intravede il rischio che l’Italia, anche alla luce del recente risultato elettorale, si sposti verso una deriva statunitense, americanista come la definisce, pur tenendo in conto le peculiarità dei due Paesi?
C’è un avvicinamento possibile con le scorciatoie della demagogia. Oggi non si pensa più a costruire un’élite, un ceto in grado affrontare le grandi trasformazione. Anzi viene abbassato il livello perché è tutto più facile. Così si arriva all’orgia delle fake news.
 
Fake news che, come ci raccontano varie cronache dall’estero, non sono solo un problema italiano.
Penso a quello che sta succedendo con la Siria. Gli ultimi accadimenti non sono altro che la fiala di Antrace di Powell che ha fatto da preludio alla guerra in Iraq. Qui c’è tutta l’astuzia della demagogia che riesce a manipolare anche gli antagonisti, quelli che come Saviano danno vita a iniziative contro le armi chimiche.
Come è possibile fronteggiare questo fenomeno?

Con lo spirito critico, la fatica dell’analisi passo dopo passo. Bisogna verificare. Tutto è cominciato con il famoso cormorano impastato nel petrolio, immagine simbolo della prima guerra del Golfo. La falsificazione si è poi perfezionata. Penso a quelli che nel nostro Paese sono definiti terroristi, ma in Siria vengono descritti come ribelli democratici: è un passaggio mentale che turba.

Tornando a una questione delle armi in Italia, con quali strumenti è possibile contrastare la tendenza al fucile libero per la sicurezza fai-da-te?
Abbiamo una sana tradizione italiana che è anche già collaudata: la presenza dello Stato. Il compito è quello del controllo del territorio. Se i ladri conoscono i momenti ideali per introdursi nelle abitazioni, a maggior ragione lo Stato deve avere questa competenza e quella conoscenza. Invece le abitazioni, specie al Nord, si sono trasformate in delle prigioni: c’è un’ansia totale.
 
E come si risolve l’emergenza sicurezza?
Le risposte non possono essere affidate all’improvvisazione del cittadino. La retorica dell’autodifesa non tiene conto che chi si mette l’arma in pugno fronteggia un professionista, che sa cosa fare e come fare. Ci sono due possibilità: nella migliore delle ipotesi il cittadino si trasforma in assassino, con tutto quel che ne consegue in termini penali e di coscienza. E nella peggiore delle ipotesi il cittadino viene assassinato. Per questo lo Stato non può affidare al cittadino il disastro dicendo di sbrigarsela da solo. Con questa dinamica la sicurezza è diventata il business numero uno: è l’unico mercato in crescita.
 

Nel libro racconta il modello di un quartiere ‘chiuso’ di Treviso: per come è costruito rappresenta uno strumento di ‘auto-controllo’, senza possibilità di ingresso da parte di estranei. Può questa chiusura all’esterno rappresentare un vero modello di sicurezza? O serve altro, qualcosa di più inclusivo?
L’unico meccanismo funzionante è quello di adottato da Rudolph Giuliani con la parabola della ‘finestra rotta’. Il degrado si cancella totalmente, concentrandosi anche sul dettaglio. Bisogna conservarlo integro, perfetto: la bellezza fa dileguare tutto ciò che è incuria e abbandono.

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