La vera emergenza in Italia non sono furti e rapine, ma delitti commessi con armi legalmente detenute. Giorgio Beretta (nella foto), analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia (Opal), racconta dati alla mano l’attuale situazione: nel 2017 ha contato almeno 40 vittime per casi del genere. E sottolinea: in Italia è più facile avere un porto d’armi che la patente, e con una nuova legge sulla legittima difesa ci potrebbe essere una corsa a pistole e fucili. In questa intervista, l’esperto propone anche delle soluzioni per diminuire i rischi di un Far west all’italiana.
Una recente ricerca del Censis evidenzia che in Italia cresce la voglia di armarsi per avere più sicurezza?
In un certo senso sì, ma bisogna fare attenzione. La ricerca del Censis riporta un aumento, dal 26% del 2015 al 39% del 2018, di persone che si sono dette favorevoli “a modificare la legge sul porto d’armi rendendo meno rigidi i criteri per poter disporre di un’arma per la difesa personale”. Questo dato – come spiega il Censis – rivela innanzitutto una crescente e pericolosa propensione alla “sicurezza-fai-da-te”: è un desiderio che si riscontra soprattutto tra le persone meno istruite (il 51% tra chi ha al massimo la licenza media) e tra gli anziani (il 41% degli over 65 anni). Si tratta, però, di una tendenza che non è supportata dall’effettivo aumento dei reati e dei crimini che anzi – come riporta il Censis – sono tutti in calo, ma che va attribuita alla “percezione di insicurezza”: non a caso ad essere più preoccupate della criminalità sono le persone con redditi bassi che vivono in contesti più disagiati. Va evidenziato, invece, un dato rilevante che si ricava dal rapporto: nonostante le forze politiche conservatrici e della destra, sostenute da giornali e televisioni, continuino a soffiare sul fuoco delle paure, più del 60% degli italiani non è affatto favorevole ad introdurre norme meno severe sul porto d’armi. La maggior parte degli italiani infatti consapevole che una proliferazione delle armi non porta affatto maggior sicurezza ma che invece, come accade negli Stati Uniti, accresce l’insicurezza generale, contribuisce all’aumento di reati sempre più violenti, incrementa il numero di vittime innocenti e di morti.
Vede un rischio di americanizzazione della società italiana?
Se per “americanizzazione” si intende l’intenzione di armarsi e la sua legittimazione culturale e sociale, il rischio è evidente. La tendenza a giustificare il possesso e l’uso delle armi è però molto pericolosa. Come evidenzia il Rapporto Censis, «Il rischio è di un aumento non controllato dei cittadini armati che, a fronte della presenza di una forte insicurezza tra la popolazione, potrebbe portare ad una pericolosa “americanizzazione” della società civile, con un aumento esponenziale di quanti sparano e di quanti uccidono». Al riguardo il Censis avverte: «Con il cambio delle regole e un allentamento delle prescrizioni, ci dovremmo abituare ad avere tassi di omicidi volontari con l’utilizzo di armi da fuoco più alti e simili a quelli che si verificano oltre Oceano. Le vittime da arma da fuoco potrebbero salire in Italia fino a 2.700 ogni anno, contro le 150 attuali, per un totale di 2.550 morti in più». Un dato su cui dovrebbe meditare chi parla di modificare la legge sulla legittima difesa.
Si può parlare di “effetto legittima difesa” dopo il grande clamore della propaganda politica?
Certamente. Innanzitutto perché da anni diverse forze politiche non solo della destra ma anche più moderate e conservatrici, cavalcando le paure dei settori più deboli della società hanno messo in campo una campagna volta a giustificare l’utilizzo delle armi estendendo il concetto di legittima difesa dalla persona alla proprietà. Un’estensione che è avvenuta già nella modifica del 2006 della legge sulla “legittima difesa” (articolo n. 52 del Codice Penale), ma che è ancor più evidente nelle recenti proposte di legge da parte della Lega e di altri partiti che intendono introdurre il concetto di “presunzione di innocenza” per chi compie un atto per respingere, anche sparando, l’intrusione in un immobile e la violazione di domicilio. Va ricordato che la legittima difesa, nel suo senso originario e proprio, è nata per garantire la tutela della persona, non della proprietà o delle cose. E che proprio per questo il nostro ordinamento per decenni l’ha assicurata sottoponendola però ai requisiti dell’attualità del pericolo, della necessità e della proporzionalità all’offesa proprio per evitare che venisse utilizzata in modo strumentale ed arbitrario per una “giustizia-fai-da-te”. Purtroppo anche le modifiche proposte nella precedente legislatura, approvate alla Camera e che fortunatamente non sono arrivate al Senato, tendevano ad allargare le maglie del concetto di legittima difesa e questo la dice lunga sulla trasversalità politica dello stravolgimento culturale che sta avvenendo…
C’è quindi il pericolo, anche in Italia, di una corsa alle armi?
Questo il punto centrale della questione. Se si estende la norma sulla legittima difesa, introducendo la “presunzione di innocenza” per chi difende la proprietà, ma al contempo si mantengono inalterate le attuali norme sul possesso di armi vi è il fortissimo rischio che si verifichi proprio una corsa ad armarsi. Sebbene, come ha recentemente ribadito il Consiglio di Stato, nel nostro ordinamento l’autorizzazione alla detenzione di armi sia da considerarsi eccezionale, la normativa che la regolamenta è invece sostanzialmente permissiva tanto che è più facile ottenere una licenza per armi che la patente di guida. Oggi, infatti, a qualunque cittadino maggiorenne e incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane che dimostri di saper maneggiare le armi può essere rilasciata, su richiesta alle questure, la licenza per detenere armi, cioè il nulla osta, la licenza per uso venatorio e per uso sportivo. Non è necessario sottoporsi ad alcun esame psicologico e nemmeno clinico-tossicologico che permetta di verificare l’effettivo stato di salute della persona. Si tenga presente, inoltre, che queste licenze hanno una validità di sei anni – durante i quali come sappiamo le condizioni di vita e di salute di una persona possono cambiare radicalmente – e permettono di tenere in casa un ampio numero di armi, tra cui i fucili semiautomatici usati nelle stragi negli Stati Uniti, e relativi caricatori e munizioni: l’acquisto di un’arma va sempre denunciato alla questura o ai carabinieri, ma si possono detenere.
Questa situazione di permissività influisce in qualche modo sulla sicurezza, sugli omicidi e sui reati?
È anche questa una questione cruciale che andrebbe esaminata con attenzione e sulla quale, invece, mancano non solo studi specifici, ma anche i dati ufficiali per poterla analizzare. Per poter fare un’analisi sull’incidenza delle armi legalmente detenute sugli omicidi e sui reati occorrerebbe innanzitutto disporre di due dati precisi: il numero di tutte le persone che sono possesso di una qualche licenza per detenere armi e il numero di omicidi e reati compiuti con armi da fuoco, sia detenute legalmente che illegalmente. Entrambi questi dati dovrebbero essere forniti dal ministero dell’Interno che invece – da quanto ne so, ma potete provare a chiederli anche voi – non li ha mai resi noti e non si capisce il motivo visto che li conosce. Detto questo, è però possibile fare qualche raffronto: i dati forniti all’Istat dal Viminale riportano per il quinquennio 2012-16 una media annuale di 475 omicidi volontari di cui 51 sono “di tipo mafioso” e 31 “per furto o rapina” (si tratta, ovviamente, di omicidi perpetrati con qualsiasi tipo si strumento/mezzo). Il rapporto del Censis segnala che nel 2016 in Italia vi sono stati 150 omicidi compiuti “con armi da fuoco” detenute sia legalmente che illegalmente. Da un’indagine che ho condotto per l’Osservatorio Opal risulta che nel 2017 vi sono stati più di 40 omicidi effettuati con armi legalmente detenute. Ciò significa che gli omicidi compiuti con armi a disposizione di legali detentori di armi e loro famigliari rappresentano quasi un terzo di tutti gli omicidi compiuti con armi da fuoco, sono molto di più di quelli compiuti (con ogni mezzo) per rapine e sono di poco inferiori alla media di omicidi per mafia. In sintesi: la vera emergenza in Italia non sono gli omicidi per rapine, ma le armi a disposizione dei legali detentori.
Come si può allora intervenire per restringere l’accesso alle licenze per le armi?
Lo si può fare solo a due condizioni: da un lato, introducendo una specifica licenza per la difesa abitativa e dell’esercizio commerciale che preveda precisi controlli all’atto del rilascio e del rinnovo e limitazioni sui tipi di armi e munizioni consentite e, dall’altro, riportando le attuali licenze per armi alla loro effettiva ragion d’essere. Tranne il porto d’armi “per difesa personale” che prevede criteri abbastanza rigorosi ed è rilasciato solo a fronte e di una richiesta valutata dal Prefetto, le altre licenze non prevedono particolari controlli e sono per la gran parte richieste in modo strumentale al solo scopo di poter avere armi a disposizione. Un modo molto semplice per prevenire un utilizzo indebito di queste licenze e delle armi è quello di non permettere ai possessori di tenere in casa munizioni. In sintesi: se vuoi tenerti un’arma in casa perché l’hai ereditata, per andare al poligono o per andare a caccia puoi detenerla, ma niente munizioni. Se invece vuoi avere armi in casa per difenderti, devi richiedere quella specifica licenza.