La via giudiziaria per fermare le bombe italiane in Yemen: tre Ong portano la guerra in Procura

La via giudiziaria per fermare le bombe italiane in Yemen: tre Ong portano la guerra in Procura

Dopo la via politica, ecco l’azione legale per fermare il tragitto delle bombe italiane che finiscono all’Arabia. Ed esplodono in Yemen, provocando stragi di civili. La denuncia è stato presentata alla Procura di Roma, con tutta la documentazione del caso, per dimostrare la grave violazione della legge 185 del 1990, quella che vieta l’esportazioni di armi all’estero a Paesi in guerra. A dare il via all’iniziativa sono state tre organizzazioni non governative: l’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), la Rete Italiana per il Disarmo e l’organizzazione yemenita Mwatana Organization for Human Rights. “Nonostante le violazioni segnalate in Yemen, l’Italia continua ad esportare armi verso i membri della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita”, ha accusato Francesco Vignarca di Rete Disarmo.

Spiega il dossier preparato ad aprile 2018:

A partire dal maggio 2015 in diverse occasioni i resti di bombe prodotte in Italia sono stati ritrovati tra le macerie dopo attacchi aerei sferrati dalla Coalizione nello Yemen. Nonostante le denunciate violazioni del Diritto umanitario, le licenze governative rilasciate per le esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita hanno mantenuto controvalori per centinaia di milioni di euro all’anno e sono aumentate dallo scoppio del conflitto.

Gran parte delle esportazioni dall’Italia verso l’Arabia Saudita è costituita dalle bombe prodotte da RMW Italia S.p.A., azienda italiana controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall AG. .

Bombe italiane all’Arabia: testimonianze e denunce

“La politica di export degli armamenti è stata portata avanti dagli ultimi governi e la gran parte è finita in Medioriente. Non sono armi che vanno ai nostri alleati”, ha spiegato Giorgio Beretta, analista dell’Opal di Brescia, nel corso della conferenza stampa che ha evidenziato il gli aspetti legali dell’esposto. L’attenzione è stata rivolta anche alla scarsa trasparenza sulle esportazioni delle bombe made in Italy: “I valori delle esportazioni dei cacciabombardieri non sono contemplati dalla documentazione ufficiale, perché gli aerei  – per motivi facilmente immaginabili – non passano alla Dogana per i controlli. Manca chiarezza sui Paesi destinatari di armi italiane. Ma su un fatto siamo certi: siamo riusciti a comprendere che l’Arabia Saudita è il primo Paese acquirente”.

Radhya Al-Mutawakel, direttrice di Mwatana, ha fornito la testimonianza su cosa sta accedendo in Yemen, lontano dall’attenzione mediatica internazionale: “La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha ucciso e ferito migliaia di civili dal 2015, e ha bombardato in Yemen anche scuole, ospedali, case, ponti, fabbriche. È molto triste che l’Italia stia alimentando come altri Stati questa Guerra, vendendo armi ad alcuni membri della coalizione guidata dall’Arabia Saudita”.

Miriam Saage-Maaß, Vice Legal Director di ECCHR, ha puntato il dito contro l’ipocrisia dei Paesi occidentali: “Le esportazioni di armi ancora in atto da parte dei Paesi europei favoriscono l’uccisione di civili, mentre società come la tedesca Rheinmetall AG e la sua filiale italiana RWM Italia S.p.A. traggono vantaggio da questo business. Allo stesso tempo, i Paesi esportatori forniscono aiuti umanitari alla medesima popolazione colpita da queste armi. È di fondamentale importanza avviare un’indagine sulla responsabilità penale per queste esportazioni di armi e le relative autorizzazioni”.

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