A 100 anni dalla fine della più grande e scandalosa ecatombe fratricida tra poveri contadini europei, la prima guerra mondiale e ad oltre 70 dalla seconda in cui tutto il pianeta fu coinvolto, si contano 51 conflitti armati in corso che coinvolgono milioni e milioni di persone inermi e ridotte in condizioni disperate.
È la gente normale, la popolazione che vive nelle città e nelle campagne la prima vera e grande vittima delle guerre e dei conflitti, di interessi economici e geopolitici e rapporti di forza fra le grandi nazioni. Queste ultime omologabili sempre più a piccoli o grandi moderni imperi per come le scelte vengono assunte e imposte dai loro capi. È la terra e sono le città, è la casa e la vita che sono sottratte dalla guerra a intere aree del pianeta, provocando migrazione e facendo del futuro un deserto. Non ci colpisce perché accade lontano dai nostri occhi e dalle nostre orecchie, ma è qui, qui vicino. E giunge fino a noi.
Dire basta a chi fomenta la guerra, ai governi che la coltivano e non la contrastano, a tutti coloro – e la politica per prima – che la ignorano è un primo atto di responsabilità che ci impegna: perché non c’è pace senza giustizia, senza una visione che ponga equilibrio ed equità come obiettivi da raggiungere. Come il rispetto per il continuo muoversi di cittadini pellegrini, che devono incamminarsi verso un avvenire più umano per salvare la propria vita e quella delle generazioni future.
Sentiamo l’urgenza di affermare che una direzione verso la cooperazione tra popoli anche molto lontani non si costruisce con le armi e le guerre ma con lo sviluppo di un’economia civile e sostenibile: questa è l’Europa che noi vogliamo, non quella chiusa e separata nelle sue vecchie frontiere ma aperta e forte nella volontà e capacità di contribuire al bene comune, planetario.