Le spese militari volano sempre più in alto e arrivano al 2,2% del Pil mondiale: il pianeta è infestato da armi e guerre
Il grafico delle spese militari (Fonte: Sipri)

Le spese militari volano sempre più in alto e arrivano al 2,2% del Pil mondiale: il pianeta è infestato da armi e guerre

I dati dell’ultimo rapporto SIPRI ci consegnano un pianeta che è sempre più infestato da armi e guerre. Le spese militari sono nuovamente aumentate, arrivando al picco di 1.739 miliardi di dollari, pari al 2,2% del PIL mondiale. Parliamo di 230 dollari procapite e di una crescita, rispetto all’anno scorso, dell’1,1%. L’aumento è del 6% in Medio oriente, ma anche in Europa le spese militari crescono: del 3,5% in Germania, del 2,1% in Italia, dello 0,5% in Gran Bretagna. Si tratta di dati preoccupanti, cui vanno associati i dati in crescita del commercio di armamenti e del sostegno alle industrie nazionali (come da noi Finmeccanica) che hanno nel loro portafoglio sia produzioni civili che (sempre di più) militari. Di più: il nuovo bilancio dell’Unione europea prevede ben 37 miliardi di euro di spesa per la difesa e la sicurezza.

Armati fino ai denti

Il mondo si arma sempre di più. Invece di investire contro le vere minacce del pianeta – dalla lotta ai cambiamenti climatici allo sradicamento della povertà e dell’ingiustizia – si gettano risorse nei sistemi d’arma sempre più raffinati e mortali. Bisognerebbe investire nella prevenzione dei conflitti e nella loro soluzione nonviolenta, ma si lasciano invece marcire le situazioni di scontro, degrado e tensione fino a quando non diventano teatri di guerra. Per la felicità dell’industria bellica e di quel complesso “militar-industriale” che sulla guerra ha fatto nel Novecento – e oltre – le sue fortune. Il pianeta ha certamente bisogno di sicurezza: quella di non essere sommerso dagli oceani a causa dei cambiamenti climatici, quella delle fiumane di migranti in cerca di salvezza per non morire “a casa loro”, quella di chi dipende da un sacco di farina di un’organizzazione umanitaria per poter sopravvivere. Qui servirebbero i 1.739 miliardi dollari, non per far più lucenti e mortiferi gli arsenali del pianeta.

Meno F35, più Canadair

E il discorso vale anche in Italia, con i suoi 14 miliardi di euro buttati negli F35 che sono dei veri bidoni volanti e non portano lavoro e i tanti altri miliardi sprecati nelle fregate FREEM che sanno tanto di fregatura, gettati nelle inutili portaerei viaggianti per l’orgoglio delle gerarchie militari (la portaerei fa “status”), spesi nei droni di Sigonella in attesa di essere armati e negli altri sistemi d’arma sempre più micidiali. Serve una riconversione civile dell’industria militare.

Invece di F35 produciamo i Canadair per spegnere gli incendi che devastano i nostri boschi; invece degli elicotteri Mangusta, diamo all’Appennino e alle Alpi un efficiente sistema di elisoccorso; invece di produrre dei precisissimi sistemi di puntamento dei nostri carri Centauro, usiamo la stessa tecnologia per produrre e migliorare i macchinari per le TAC e la diagnostica. Si può fare, con le stesse tecnologie, gli stessi operai, gli stessi impianti industriali: basta volerlo. Riconvertire l’industria bellica in un’economia civile che serva alla società è un obiettivo alla portata di mano. Ridurre le spese militari è un dovere, se vogliamo costruire un ordine mondiale più giusto, fondato non sulla politica di potenza, ma sulla pace e la cooperazione internazionale.

Nota sull’autore: Giulio Marcon è stato capogruppo alla Camera di Sinistra italiana-Possibile nella scorsa legislatura ed è attivista pacifista

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