Le guerre nascono per gesti sconsiderati, atti prevaricatori che generano conseguenze non adeguatamente soppesate. Uno scoppio preterintenzionale, si potrebbe dire. Ma non è solo questione di un calcolo sbagliato (o al contrario ben pianificato). C’è un qualcosa di più importante e profondo: il progressivo abbandono di una cultura pacifista, la tendenza a far prevalere la muscolarità al dialogo. La volontà, politica (e quindi culturale), di preferire le corsa alle armi invece della corsa al disarmo. Perché la grande illusione, che alimenta il gigantesco affare dell’industria bellica, è che più crescono gli arsenali e meno ci sono possibilità di conflitti. Le armi come deterrenti alla guerra, con un gendarme alla Trump a vigilare, pensa un po’.
Parlare di pace, oggi più di ieri, sembra un arnese da robivecchi, un’idea demodé. Come se il pacifismo fosse una passione da persone deboli. Eppure è questo il punto della crisi culturale che porta alla guerra: la mancata attenzione alla pace, il bene supremo senza cui nemmeno la libertà può esistere (in tempi di guerra è scontata la limitazione delle libertà). Ma la salvaguardia della pace non è un esercizio di stile: è una sfida titanica, un impegno ambizioso che richiede forza, coraggio, inventiva.
Gli accordi internazionali sono proprio frutto di queste qualità: della capacità di trovare una mediazione, accettare un compromesso. Certo, le intese non possono essere mai perfette: può sempre esserci di meglio, un elemento da migliorare, da riequilibrare. Ma se viene meno la volontà politico-culturale per arrivare alla pace, o in alcuni casi per mantenerla, succedono fatti terribili. Così per questa negligenza, si arriva a epiloghi tragici. E allora Iran e Stati Uniti si lanciano missili contro, in Libia c’è una contrapposizione tra potenze, come Turchia e Russia, mentre in Siria vengono distrutti (da anni) i diritti umani con una strage che oggi distrugge, quasi nel silenzio assoluto, la città di Idlib. Perciò occorre un’azione decisa e decisiva per la pace un lavoro incessante per far cessare mitragliatrici e carri armati.
Bisogna essere sinceri e consapevoli: l’eventuale guerra tra Iran e Usa non sarebbe l’unica nel mondo. In questo momento ce ne sono tante altre (oltre alle già citate Siria e Libia). Ci sono conflitti semi-sconosciuti che flagellano Paesi già poveri, per esempio la Repubblica Centrafricana, ma anche in Sud Sudan il concetto di pace è lontano dalla sua reale realizzazione. Ed è giusto per citare due casi meno noti. Eppure la difficile situazione deve dare una carica convinta verso la pace per abbassare la tensione. Ecco, l’unica tensione buona è quello verso la pace. È proprio a quello a cui bisogna tendere.