Matteo Salvini non riconosce nemmeno più l’autorità della Polizia. Ne indossa la divisa, ma discredita il loro lavoro nella foga di giustificare la riforma della legittima difesa. Il ministro dell’Interno, ruolo istituzionale chiamato a garantire la sicurezza, ha usato parole chiare nel corso di un comizio. “I fenomeni che fischiano, voglio sapere se chiamano Biancaneve e i sette nani, invece di chiamare la polizia, quando vengono scippati”, ha detto riferendosi a un gruppo di contestatori del provvedimento, che proprio in quei minuti era stato votato in commissione alla Camera e quindi in dirittura d’arrivo. Certo, ministro Salvini, se ci scippano non chiamiamo Biancaneve, né i sette nani. Chiamiamo la Polizia: quella che fa riferimento al ministero che sta guidando. E di sicuro non vogliamo prendere la pistola dalla fondina. Detto in altre parole: è la riforma della legittima difesa che svilisce il ruolo delle forze dell’ordine. Vengono esautorate dal loro compito principale: garantire la sicurezza, che ovviamente riguarda un sistema complessivo (con l’inclusione di azioni contro il degrado e la povertà che attengono alle politiche economiche e sociali).
Ecco il punto è molto semplice, eppure è necessario ripeterlo: i cittadini non devono essere armati, devono chiamare la Polizia, non i sette nani. Lo Stato deve legittimamente difenderli dalla criminalità non inneggiare alla legittima difesa. Quello Stato che un ministro rappresenta, anche se non è stato votato o non è apprezzato dai cittadini stessi. In quella frase di Salvini c’è tutta l’espressione della mancanza di cultura istituzionale, a favore di una visione pistolera. Da film western. La sfiducia verso la Polizia ha raggiunto i vertici istituzionali: bisogna fare da sé, rinunciando a chiamare gli agenti. Perché tanto, in questa visione salviniana, equivalgono a Biancaneve e i sette nani.