Armi italiane non solo all’Arabia: oltre il 57% viene venduto a Paesi fuori dalla Nato. E c’è scarsa trasparenza

Armi italiane non solo all’Arabia: oltre il 57% viene venduto a Paesi fuori dalla Nato. E c’è scarsa trasparenza

Le armi italiane viaggiano con facilità, si spostano in tutto il globo. E raggiungono aree calde del pianeta, a cominciare dall’Arabia Saudita, impegnata nella guerra in Yemen. Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche si sicurezza e difesa (OPAL), ha evidenziato proprio su questo punto come la riduzione delle autorizzazione verso la monarchia di Ryad sia solo un’illusione ottica: “La diminuzione nelle licenze non deve trarre in inganno: va infatti sottolineato come sia intanto proseguita la fornitura ai sauditi di quasi 20mila bombe aree del tipo MK derivante da licenze del valore di 411 milioni di euro che RWM Italia aveva già acquisito. Si tratta di una commessa pluriennale che da sola è in grado di saturare la produzione annuale massima dell’azienda”.

Una problema che in Francia ha portato alla richiesta di istituzione di un’apposita commissione d’inchiesta. Tanto che il deputato Sébastien Nadot ha parlato di “questione democratica”. La relazione governativa sull’export italiano di armamenti ha confermato il trend.

Spiega Rete la Rete italiana per il disarmo:

Per il secondo anno consecutivo le autorizzazioni rilasciate superano, comprendendo anche le intermediazioni, i 10 miliardi di euro. Il calo è di circa il 35% rispetto al 2016 (record storico grazie alla mega-commessa di aerei per il Kuwait) ma la presenza della commessa navale per il Qatar garantisce comunque un +35% rispetto al 2015 e una quadruplicazione delle licenze rispetto al 2014.

In cima alla classifica c’è il Qatar, diventato un Paese di riferimento per l’Italia, grazie a una maxi-commessa. Sul podio ci sono Regno Unito e Germania, seguiti da Spagna e Stati Uniti. Si dirà: tranne il Qatar l’export è indirizzato a Paesi alleati? No, nemmeno per sogno. Le cifre sono chiare:

I Paesi non appartenenti alla UE o alla NATO sono destinatari del 57% del valore di autorizzazioni rilasciate nel corso del 2017 (circa 48% per i soli Paesi MENA, cioè del Medio Oriente e Nord Africa), continuando una tendenza che ha visto salire significativamente tale quota (storicamente attorno al 45% nel precedente decennio) già dal 2016. Gli affari “armati” dell’industria a produzione militare italiana si indirizzano sempre di più al di fuori dei contesti di alleanze internazionali dell’Italia verso le aree più problematiche del mondo.

L’espansione del giro di affari è evidente anche nel numero dei Paesi destinatari delle armi italiane: nel 2017 sono stati 87, mentre fino al 1995 erano 56. La globalizzazione è stata una manna per l’industria delle armi. La Rete Italiana per il Disarmo ha quindi promesso un impegno massimo, chiedendo cose ben precise. Ad esempio:

di migliorare gli standard di trasparenza sui dati relativi all’export militare normato dalla legge 185/90, notevolmente deterioratosi negli ultimi anni e con un livello di dati che impedisce a Parlamento ed opinione pubblica di poter esercitare un corretto e dovuto controllo su una questione critica ed importante.

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