La vendita delle armi all’Arabia Saudita non rispetta i diritti umani. Perché quelle stesse armi finiscono per uccidere civili in Yemen. E c’è poi una questione democratica da risolvere con l’assolvimento delle funzioni parlamentari, indipendentemente dall’appartenenza politica. Sébastien Nadot, deputato francese di En Marche, spiega così la sua iniziativa per istituire nell’Assembléè Nationale una commissione di inchiesta sulla vendita di armi da parte della Francia alla monarchia saudita. Con l’obiettivo di chiedere trasparenza al governo del “suo” presidente, Emmanuel Macron.
Come prosegue il dibattito in Francia sulla vendita delle armi all’Arabia Saudita?
L’Arabia Saudita è il secondo Paese, dopo l’India, ad acquistare armi dalla Francia. Ma l’opinione pubblica non è molto consapevole di questo export di armi. La visita del principe Bin Salman in Francia di qualche settimana fa è stata un’opportunità per spiegare quello che avviene. Il problema è che – molto probabilmente – quelle armi vengono usate nel conflitto in Yemen.
E questo è vietato…
La Francia ha ratificato vari trattati in cui viene chiaramente esplicitato il divieto di vendita di armi che colpiscono la popolazione civile. Si tratta quindi di una possibile violazione dei diritti umani. Nella guerra in Yemen c’è questo grande problema da discutere e risolvere: ogni settimana ci sono bombardamenti che coinvolgono i civili. Non possiamo far finta di niente.
Come si può sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica sulla vendita di armi all’Arabia Saudita?
Bisogna spiegare ai cittadini che c’è un problema molto serio e il Parlamento sta facendo di tutto per affrontarlo. Sono anche in contatto con le Organizzazioni non governative per diffondere il messaggio.
Quali sono esattamente gli obiettivi della commissione parlamentare che ha chiesto?
Prima di tutto dobbiamo fare qualcosa per la popolazione yemenita. Poi bisogna comprendere se c’è un rispetto dei trattati firmati dalla Francia; cosa che non sembra accadere. Infine, c’è il discorso di un controllo democratico sulla vendita di armi. Di fatto non abbiamo un controllo democratico, ma solo amministrativo attraverso i ministeri. Per questo, in qualità di parlamentari della Repubblica francese, vogliamo vederci chiaro sulla vendita di armi all’Arabia Saudita, ma anche agli Emirati arabi, in rapporto alla situazione in Yemen.
Gli altri partiti come hanno reagito alla sua iniziativa?
Non c’è un diretto collegamento tra la sensibilità al tema e i singoli partiti. Ci sono esponenti di vari partiti interessati al problema: in particolare a sinistra il tema è sentito, in nome della trasparenza. Ma anche a destra, da parte di alcuni esponenti, c’è attenzione al bilanciamento dei poteri. E perciò al controllo dell’operato svolto dal governo.
È una questione politico-istituzionale e dunque democratica.
Un membro del Parlamento deve esercitare il controllo dell’azione di governo. Si tratta del rispetto del nostro mandato. Io sono deputato di En Marche, il partito del presidente, ma come parlamentare sono chiamato a svolgere una funzione di controllo.
Anche l’Italia vende bombe all’Arabia Saudita, che vengono poi usate in Yemen. Si può pensare a forme di collaborazione internazionale?
Credo che sia necessario. L’Europarlamento ha votato a risoluzione, sostenuta da vari partiti, che denuncia la situazione in Yemen e chiede lo stop di vendita di armi all’Arabia Saudita. Ma serve un’azione anche nelle assemblee nazionali: le decisioni sulle vendita di armi avvengono in quella sede, non riguardano direttamente l’Europarlamento. Ed è fondamentale continuare a costruire una collaborazione con gli altri Paesi.